Le periferie come laboratorio: la mia intervista a Francesca Melandri, Supervincitrice del Premio Seminara su strill.it

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di Josephine Condemi – Francesca Melandri con il romanzo “Eva dorme” è la Supervincitrice del Premio “F.Seminara – Selezione Opera Prima” organizzato dal Circolo Culturale Rhegium Julii. “Eva dorme” è il primo romanzo in Italia che tratta della questione altoatesina, una questione che ha insanguinato l’Alto Adige per decenni, a lungo dimenticata.  Oggi si riconosce come l’Alto Adige sia stato un “laboratorio” per la strategia della tensione che si sarebbe attuata a livello nazionale decenni più tardi. Periferie del nord, periferie del sud. E sulla periferia come specchio della nazione, sulle sue storie dimenticate, sull’importanza del confine ma sull’abbattimento della barriera discutiamo insieme.

Un primo romanzo sull’Alto Adige e sulla questione altoatesina. Come mai?

Ho vissuto tanti anni in Alto Adige, ho dei figli che sono mezzi sudtirolesi, frequento l’Alto Adige fin da quando ero bambina perché mi ci portavano in vacanza;  quindi è una terra che, pur non essendo mia, io amo moltissimo e che conosco, o credo di conoscere. E proprio perché amo l’Alto Adige ma non è il posto di cui io sono originaria, ho cercato di avere uno sguardo terzo (perché non sono né un’ altoatesina di lingua italiana né una sudtirolese di lingua tedesca) sulla questione etnica sudtirolese.  Ho sempre pensato che la storia di questa “provincia” è una storia rilevante anche per l’identità italiana, poiché tratta della risoluzione di un conflitto etnico del tutto ignorata dalla coscienza collettiva della nazione. Quindi era una storia che meritava di essere raccontata.

E per quale motivo crede che sia stata tanto ignorata?

Credo che i motivi siano tanti: uno, forse quello più importante, è la generica pigrizia forse tipica degli italiani ad affrontare tutto ciò che della propria storia è scomodo, in cui non sono loro necessariamente le vittime, ma comunque in qualche modo anche gli artefici di una situazione di ingiustizia e di disagio. Il mito degli “italiani brava gente” è molto radicato nella coscienza collettiva italiana e non è che non sia per niente vero, ma come tutti i miti fondanti ha molto di vero ma anche molto di mistificato.

Ad oggi, qual è la situazione tra i sudtirolesi di lingua italiana e quelli di lingua tedesca?

Dipende dove. La città dove il conflitto si sente in maniera più forte probabilmente è Bolzano, non a caso, perché è il luogo dove la presenza italiana è maggiore, dove i sudtirolesi di lingua tedesca sono in minoranza. Bolzano è stato in passato il fronte dello scontro, non tanto tra le due etnie (per me non è mai uno scontro tra persone), ma tra entità politiche e dinamiche storiche. Io ho vissuto a Brunico, dove personalmente, da italiana, non ho mai avuto un singolo episodio che potrei raccontare di discriminazione nei miei confronti. Però io, ripeto, non sono un’altoatesina italiana, non ho quel carico di risentimenti incrociati che hanno entrambe le popolazioni l’una verso l’altra, entrambe con comprensibili motivi, entrambe con ragioni e con torti. Io sono venuta appunto da terza, generalmente cammino in pace e questo mi porta una risposta di pace.

Qual è la percezione ad oggi dei sudtirolesi/altoatesini rispetto a quanto accaduto nella loro storia?

Posso raccontare le reazioni al mio libro, che da entrambe le parti sono state molto belle: mi hanno fatto sapere che non vedevano l’ora che questa storia venisse raccontata da un punto di vista meno fazioso e più obiettivo. Io credo quindi che i tempi siano maturi per una elaborazione più condivisa da entrambe le parti. Una bella notizia, per esempio, è che il mio libro verrà adottato in molte scuole dell’Alto Adige  dal prossimo anno scolastico con il sostegno delle autorità locali: questo mi fa pensare che sia un buon passo, non per il mio successo personale, ma proprio per questo tipo di integrazione di una storia condivisa.

Nel suo libro c’è anche un riferimento alla proporzionalità etnica…può spiegarci meglio il suo punto di vista sul tema?

Io sono stata residente in Alto Adige e mi è stato recapitato nel 2001 il questionario da riempire per il censimento etnico e io mi sono rifiutata di rispondere, perché è un tipo di catalogazione delle persone che io non riconosco come valido come essere umano. Tanto meno i miei figli, che, se proprio dobbiamo ragionare in questi termini, hanno una doppia etnia. Sono suddivisioni che io trovo offensive per la dignità dell’essere umano.

Eppure, quando fu attuato, all’inizio era anche un tentativo di mettere a tacere determinati conflitti..

Sì, ha avuto una sua funzione che nonostante tutto gli storici cominciano a riconoscere a questa proporzionale etnica che io stessa non considero più valida. E’ sempre la legge del pendolo: poiché il pendolo prima oscillava troppo durante il fascismo ed anche dopo dalla parte italiana e passava anche per la negazione dell’esistenza di un’etnia tedesca, occorreva fare qualcosa di estremo e molto netto proprio dalla parte tedesca. Credo che siamo arrivati ad un punto in cui si può buttare a mare questo tipo di classificazione abbattendo queste barriere.

Nel suo libro c’è anche un accenno all’immigrazione cinese…si apre adesso un altro fronte?

Ma certo! ci stiamo tutti mescolando comunque, che lo si voglia o no. Qui a Reggio Calabria la signora che ha fatto le pulizie nella mia camera era di forte accento slavo, quella alla reception di forte accento ispanico, quindi nulla di nuovo sotto il sole! Non sono certo i cinesi a Brunico o i marocchini dietro tutte le cucine dell’Alto Adige che oramai fanno notizia. Dovrebbe far notizia e suscitare sdegno e scalpore l’intolleranza e la non accettazione di questa realtà.

Cito dal romanzo: “Via via dall’Alto Adige/Sudtirol, dalla sua ossessione per se stesso”..può spiegare questa frase?

Come tutti i luoghi molto problematici, o che sono stati molto problematici, (e visto che sono a Reggio Calabria faccio il paragone con qui, con una certa grande occupazione su se stessi dei meridionali, sulla propria questione meridionale, perché effettivamente ci sono dei grossi problemi), l’altra faccia di avere delle difficoltà è che poi queste difficoltà occupano perfino un po’ troppo il proprio immaginario, e questo vale anche a livello personale, tanto più a livello collettivo e sociale. Questo è un problema perché spesso impedisce anche di vedere le soluzioni.

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